Monday, March 3, 2008

Una notte come tante

- Racconti -



Il mare, come stanotte, l’ho già visto anche molte altre volte; con gli stessi riflessi tremolanti, con gli stessi specchi infranti in esso. Anche il cielo, come stanotte, l’ho visto molte altre volte; con le stelle nelle stesse posizioni, con la luna nella stessa posizione, con gli stessi splendori. Anche le ville che sorveglio in riva al mare sono sempre le stesse, è lo stesso posto, la stessa sabbia. E mentre mi muovo, mi sembra camminare sulle mie orme. Anche la canzone, che ho cominciato a cantare, l’ho riprodotta molte altre volte. Quindi tutto in questa notte e consueto per me.
Faccio lo stesso lavoro. E da mesi che sorveglio le ville in riva al mare. Sorveglio le ville che aspettano di riempirsi di turisti. Ma la solitudine di notte risveglia tanti pensieri e ricordi. Notte, solitudine, lontano dall’Albania. Lontano da mia madre, dai figli, dalla moglie, dai fratelli, dalle sorelle, dai compagni. Dovete credermi, durante la notte io parlo con loro, in una lingua che conosco solo io. A volte ricordo la mia infanzia e, soprattutto, ricordo "Il gioco delle stelle". Con un gruppo d’amici, dalla sommità della collina dei Moisi scommettevamo sulle probabili direzioni nelle quali sarebbero cadute più stelle e aspettavamo la loro caduta. Mentre stavo pensando a questo gioco, dal cielo cadde una stella e si spense lontano, molto lontano, verso l’Albania. La mia nostalgia diventò una stella. "Oh Dio!" – sussurrai. Dopo un po’ mi sembrò che una pioggia di stelle prese la stessa direzione. Chiusi per un attimo gli occhi. Oh, che visione! Vedevo me stesso e i miei amici Lassù, sulla collina dei Moisi, a Durazzo, sentivo le nostre madri che ci chiamavano… poiché era notte e dovevamo tornare a casa.
Il mio cuore palpitò… e, per uscire da questo stato, feci quello che facevo sempre. Cominciai a cantare una canzone in Albanese. Non alzai molto la voce. Sapevo che in una villa poco distante dormiva il direttore, Giuliano, e non volevo svegliarlo. Francamente non so per quanto tempo cantai, e quanto alzai la voce. So solo che era mezzanotte, e che mi fermai, quando sentii Giuliano, che mi chiedeva disperato, tutto sconvolto mentre veniva verso me:
- Perché piangi? Perché piangi? Dimmelo, perché piangi?
Smisi di cantare. Giuliano, appena mi raggiunse, mi abbracciò continuando a farmi delle domande, tentando di lenire il mio dolore. Io gli dissi che non stavo piangendo, gli dissi che stavo cantando una canzone albanese. Gli dissi che cosi cantavo quasi tutte le notti. Giuliano non ci credeva.
- Stavi piangendo, stavi piangendo – ripeteva.
Cominciai a dubitare di me stesso. "Forse avrò pianto anche le altre notti" – dissi.

Namik Mane

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